E’ stata la vera protagonista nell’industria nautica degli anni ’80. Ha rappresentato un’innovazione assoluta per circa cinquant’anni, sostituendo materiali classici, e naturalmente degradabili, come legno e metallo. Una vera rivoluzione. Parliamo della vetroresina. Materiale estremamente flessibile che ha cambiato radicalmente il concetto di imbarcazione ed il suo utilizzo. La barca non era più considerata come un oggetto elitario e costoso, uno status per pochi, tanto per intenderci. Ma un sogno realizzabile e a disposizione di tutti.
Tra i più famosi modelli dei primi cantieri pionieri ricordiamo: First, Alpa, Cal, IOR, sono solo alcuni esempi. L’eccezionale elasticità della vetroresina si trova proprio nelle sue caratteristiche meccaniche. Parliamo di un composito formato da fibra di vetro e resina con altissimi livelli di resistenza e leggerezza, ma presentando tempi di deterioramento molto lunghi nell’ambiente. La questione diventa ogni giorno sempre più importante e degna di attenzione da parte di tutti gli operatori del comparto. Il problema oggi è: una volta giunta a fine vita, quanto costa smaltire un’imbarcazione in vetroresina? Esistono modi alternativi per rottamare una barca? Secondo la International Council of Marine Industry Association (ICOMIA), la voce più autorevole sulla scena nautica mondiale, in questo momento ci sono solo in Europa circa sei milioni di imbarcazioni, tra quelle in movimento e quelle che restano ferme in Marine o spazi a secco.
Una miriade di piccole imbarcazioni, sotto i 10 mt, e altre centinaia di migliaia sopra i 20 mt. In tutto sono circa 30.000 le unità abbandonate in fondo al mare, causando inquinamento della flora e fauna marina, dovuti allo sversamento di oli, carburante, vernici e piombo, e creando veri e propri “cimiteri di barche”. Il braccio di ferro per la responsabilità dello smaltimento tra armatori e cantieri, poi, non aiuta di certo. Tuttavia i costi di dismissione sembrano ammontare a circa a 16.000 euro per unità da diporto. Dai Pescherecci alle barche a vela, dai gozzi agli stampi termoplastici utilizzati dai cantieri di produzione. 41.000 tonnellate di vetroresina da dover smaltire. Immaginando uno scenario del generale, riciclare sembra sia l’unico spiraglio possibile.
Le soluzioni sarebbero molteplici, con costi diluiti per tutti: allungare quanto più possibile il ciclo di vita dell’imbarcazione, ad esempio, offrendo servizi di refitting; produrre imbarcazioni eco-sostenibili, scegliendo di rivalutare l’uso di legno e metallo o utilizzare materiali riciclabili, come ha scelto di fare il cantiere francese Lalou Multi, realizzando il proprio trimarano in materiale composito termoplastico riciclabile, grazie alla resina Elium®, un infuso con fibra di carbonio. Infine, imparare a riutilizzare la vetroresina, come illustrato dal progetto promosso da UCINA, che si propone in sostanza di “polverizzare” gli scafi e farne cemento o in alternativa mediante il processo di estrazione e macinazione delle fibre. In realtà, tutto è oggetto di smaltimento in un’imbarcazione: acciaio, strumentazione elettronica, vele, batterie, motori e parte meccaniche, oli esausti e filtri.
Abbiamo la responsabilità tutti di preservare l’ambiente attraverso cui godiamo delle risorse che ci offre. l’Architetto navale Eric W. Sponberg, che già vent’anni fa esaminò il problema proponendo uno scenario leggibile a posteriori nell’attuale Circular Economy, ci da uno spunto aggiungendo che “la nostra capacità di riciclare la vetroresina e idealizzare nuovi prodotti commerciabili sarà il catalizzatore per un nuova business venture di successo”.
Elide Lomartire