Un proprietario di auto sa benissimo cosa si intende per “rottamazione”; mentre un armatore-propritario di una barca non conosce i diritti e/o doveri per avviare il suo natante a “rifiuto”.
Le soluzioni, in questo comparto marittimo, specie lungo le coste mediterranee, sono spesso improvvisate, fuori dalle regole e costose. La prima soluzione che viene in mente è quella di affondare (autoaffondare) la propria barca; oppure può lasciarla in qualche deposito terrestre di vecchi natanti per portarla in discarica, pagando.
Se si tratta di uno yacht può contattare un mediatore per trasferirlo sulle spiagge delle demolizioni dell’India e del Bangladesh. Ancora, il problema si complica se la barca o lo yacht del diportista domenicale è costituita da materiali cosiddetti “pericolosi”. Un vero problema che può essere trasferito dal diportista al cantiere, comprando una barca nuova; però il problema rimane.
Oggi quando si parla di sviluppo in qualsiasi campo economico, ed in particolare nel settore marittimo industriale, occorre tener presente il paradigma della “sostenibilità” ambientale e le spese per la gestione di “fine attività” dei prodotti, come il caso della barca vecchia.
Prima le barche erano costruite tutte con materiali naturali, compreso i ferri e l’acciaio, senza grande dispendio di energia; oggi, vi sono costi non solo per produrre e distribuire energia necessaria alla catena di costruzione industriale dei natanti, ma esiste anche l’energia da impiegare per la dismissione e distruzione dei prodotti – rifiuti.
Diventa importante la gestione di vita della barca, dalla sua progettazione alla sua demolizione; scelta dei materiali ecocompatibili da parte dei cantieri quando costruiscono una barca e tutta la certificazione da parte di Istituti di Classificazione per controllare in vita la “navigabilità” del natante, che il proprietario non può espletare da sé. Anche se qualche università sta pensando alla barca “indistruttibile”; nel frattempo qualche cantiere fa affari solo demolendo barche.