Da anni lo penso, e più leggo e rileggo la direttiva europea 2006/123/CE (conosciuta come “direttiva Bolkestein” dal nome del suo estensore Frits Bolkestein), più mi convinco che tutti i beni che appartengono agli Stati membri dell’Ue nulla hanno a che vedere con l’applicazione di questa direttiva.
Questo perché la Bolkestein è soltanto uno strumento di regolamentazione per i servizi che lo Stato membro si trova a dover disciplinare, mentre gli specchi acquei del mare e le spiagge sono dei beni che appartengono allo Stato, come recitano e disciplinano sia il Codice civile all’art. 822, sia il Codice della navigazione all’art. 28: Art. 822 del Codice civile: “Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia; le opere destinate alla difesa nazionale. Fanno parimenti parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato, le strade, le autostrade e le strade ferrate; gli aerodromi; gli acquedotti; gli immobili riconosciuti di interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia; le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche; e infine gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico.
Questi beni appartengono al demanio necessario (o naturale), in quanto sono dei beni che per la loro naturale attitudine a soddisfare interessi pubblici non possono che essere di proprietà dello Stato“. Art. 28 del Codice della navigazione: “Fanno parte del demanio marittimo: a) il lido, la spiaggia, i porti, le rade; b) le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell’ anno comunicano liberamente col mare; c) i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo“. Premesso ciò, è evidente che da tali disposti normativi e in modo inequivocabile, le spiagge e gli specchi acquei sono dei beni e pertanto su di essi vige il concetto di bene “uti dominus”.
L’espressione “uti dominus” è un brocardo latino che indica la modalità di possesso di un bene. Un soggetto che possiede un bene “uti dominus” lo gestisce “come se ne fosse il proprietario”, ossia godendone dell’uso e degli eventuali guadagni derivanti da un bene. In poche parole, lo Stato membro può fare dei suoi beni ciò che ritiene più utile.
Di fronte al beneficio che i beni demaniali rappresentano per il nostro stesso Pil, lo Stato membro deve fare una politica di tutela di quelle imprese che contribuiscono al prodotto interno lordo.
Ecco perché la direttiva Bolkestein non è applicabile sugli specchi acquei e sulle spiagge, in quanto semplicemente essa regola i servizi e non i beni su cui insiste, appunto, l’uti dominus. Lo stesso padre di tale direttiva, il sig. Frits Bolkestein, commissario europeo per il mercato interno dell’allora commissione Prodi, lo ha anche evidenziato in più occasioni: la direttiva non riguarda i beni ma i servizi, consapevole che la proprietà degli Stati membri non può essere “gestita” da norme extra nazionali proprio per il principio “uti dominus” dei beni.
Su questi principi, a mio avviso, occorre concentrare ogni sforzo per far sì che le imprese (che, non dimentichiamo, da sempre producono reddito) devono essere assolutamente tutelate dallo Stato membro, semplicemente sottraendoli alle evidenze pubbliche. D’altronde, la stessa direttiva Bolkestein, nella sua articolazione, evidenzia come si debba comunque tenere conto degli interessi dello Stato membro, poiché dalla sua applicazione esso non deve rimetterci. Molto si è discusso in questi anni a proposito di concessioni demaniali marittime e molte sono state le sentenze che hanno creato ancora maggiore confusione tra l’opinione pubblica, tra gli stessi imprenditori del settore e tra chi amministra. Ma proprio il concetto di “demanialità”, inteso quale bene dello Stato, appare trascurato nei tanti dibattiti sulla sostanza della direttiva Bolkestein.
L’Italia aveva ben disciplinato nel 2018, con la legge 145, le regole relative alle concessioni demaniali marittime almeno fino al 2033. Le imprese avrebbero avuto un importante periodo di respiro ed il legislatore avrebbe avuto il tempo per regolamentare una materia molto complessa ed importante per l’economia interna.
In poche parole si avrebbe avuto l’occasione per rafforzare la legislazione in materia di demanio marittimo.
A mio avviso non sarà applicabile la sentenza del Consiglio di Stato del del 9 Novembre 2021 che ha disposto l’azzeramento dei titoli concessori al 2023. Non sarà applicabile per praticità, non sarà applicabile per questioni temporali, non sarà applicabile in quanto in netto contrasto con aspetti Costituzionali, non sarà applicabile poiché in un periodo davvero critico ben altre sono le tematiche prioritarie per il nostro paese.
Oggettivamente è necessaria una regolamentazione definitiva affinché le realtà turistico/ricreative che operano sul demanio marittimo possano continuare a rappresentare quell’eccellenza da sempre riconosciuta anche a livello internazionale e certamente non la si può ottenere in appena due anni.
Non posso che essere d’accordo con il Professor Paolo Maddalena, Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale che ci ha ben spiegato come sulla base degli ultimi avvenimenti, relativi specialmente al tema della concorrenza, si è rilevato che il governo e la magistratura amministrativa, fortemente influenzati dai Trattati europei, pongono in secondo piano i principi e i diritti fondamentali della Costituzione, i quali, secondo una consolidata giurisprudenza costituzionale, detta dei contro limiti e devono prevalere sui Trattati.
Per concludere, a mio avviso, deve esserci la volontà dell’attuale esecutivo porre rimedio ad una situazione davvero pesante per il nostro Paese per vari aspetti, sociali, economici, posti di lavoro e soprattutto per continuare a rappresentare quell’eccellenza che il mondo ci riconosce.