La materia portuale dell’ultimo trentennio è sempre stata manifesto di due contrapposte esigenze di accentramento e decentramento: la prima, seguendo il solco di una tradizione giuridica secolare, ha considerato e considera i porti materia d’interesse statale; la seconda, invece, è nata più tardi, complice l’avvento del Regionalismo, ed è maturata prima nella Legge 84/94 e poi nella Riforma del Titolo V (porti e aeroporti ricadono nella potestà legislativa concorrente di Stato e Regioni).
Almeno sul piano teorico si può dire che l’impatto del decentramento non è stato così dirompente. Infatti lo Stato ha mantenuto, da un lato, la competenza esclusiva su alcune materie impattanti i porti (la concorrenza, la tutela dell’ambiente, le dogane ecc.) mentre, dall’altro, ha potuto continuare a legiferare su materie di potestà concorrente (quali i porti) per esigenze di carattere unitario (ex multis, Corte Costituzionale n.ri 86/2006, 255/2007 e 344/2007).
Se si ragiona, invece, sul piano operativo, il discorso muta radicalmente per due ordini di ragioni. Il primo è che lo Stato, per poter legiferare in maniera unitaria su materie di competenza legislativa concorrente, ha dovuto raggiungere delle lunghe intese con le Regioni. Intese che, giocoforza, hanno comportato una mediazione tra le aspirazioni statali e quelle regionali per non comprimere (e quindi ledere) quest’ultime prerogative costituzionalmente protette.
Il secondo, piuttosto, è strettamente legato alla partecipazione delle Regioni alla amministrazione dei porti. Una partecipazione che, seppur prevista normativamente e legittimata dal riflesso “locale” dei porti sulle Regioni, ha reso più difficile l’attività amministrativa, orientandone spesso le scelte strategiche.
Basti pensare, a titolo esemplificativo e non esaustivo, alla procedura di nomina dei presidenti delle ADSP, alla definizione degli assetti territoriali delle stesse ADSP, agli strumenti pianificatori (DPSSP – PRP – DPEASP) nonché al co-finanziamento regionale di opere su porti d’interesse internazionale e nazionale. Tutte attività rispetto alle quali, ad onore di cronaca, spesso si sono registrate evidenti frizioni tra gli Enti locali, le stesse ADSP e, di conseguenza, le amministrazioni centrali.
Partendo da queste premesse, dunque, si è definito nel tempo il bisogno di una nuova e più armonica legislazione portuale, in grado sia di bilanciare le varie prerogative statali/regionali/locali che di imprimere una più efficiente e organica gestione dei singoli scali. Perché era evidente (e lo è tuttora) che la competenza concorrente Stato – Regioni non ha facilitato l’amministrazione dei porti.
In un primo momento – correva l’epoca Renzi – si era optato per un duplice intervento a livello di legge sia costituzionale (riformando l’articolo 117 e riassegnando allo Stato la competenza esclusiva in materia portuale) che ordinaria (Riforma Delrio).
Poi, una volta bocciato il disegno costituzionale, il Governo ha agito residualmente con la sola Riforma Delrio che, seppur conservando l’impostazione della competenza concorrente Stato – Regioni, ha provato ad armonizzare il quadro normativo, meglio ripartendo le competenze e i poteri tra i diversi livelli governativi e ri-accentrando finanche i poteri di armonizzazione e coordinamento delle strategie portuali nelle mani dello Stato (v. articolo 11-ter Legge 84/94: Conferenza Nazionale di Coordinamento delle Autorità di sistema portuale).
A distanza di un settennato dal loro debutto, questi ultimi poteri non hanno ancora raggiunto la piena operatività ma, ad ogni modo, vengono reputati essenziali dagli addetti del settore per il rilancio della portualità nostrana. Ciononostante, il loro impiego negli anni a venire potrebbe essere compromesso dall’attuale progetto di autonomia differenziata (https://www.senato.it/leg/19/BGT/Schede/Ddliter/56845.htm).
In caso di approvazione, difatti, l’autonomia differenziata consentirebbe alle Regioni a statuto ordinario di poter incardinare un negoziato col Governo, al termine del quale, una volta raggiunta e formalizzata l’intesa, le stesse Regioni interessate otterrebbero la competenza legislativa esclusiva su materie oggi concorrenti (quali, ad esempio, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione ecc).
Tutto ciò, in altri termini, implicherebbe un drastico ridimensionamento del ruolo statale nella governance portuale e finanche di quei sopraccitati poteri di coordinamento e armonizzazione che sono legittimati, per l’appunto, anche dalla competenza statale concorrente sui porti.
Dunque, al netto delle buone intenzioni, l’annunciata riforma portuale Rixi rischia di essere vanificata – nella misura in cui punta alla valorizzazione della governance nazionale – dal potenziale arrivo dell’autonomia differenziata e dalla assenza di un coordinamento nazionale delle strategie portuali (si pensi, ad esempio, alla recente eliminazione nel nuovo Codice degli Appalti del Piano Generale della Logistica e dei Trasporti: https://www.apertacontrada.it/2023/01/19/leliminazione-del-piano-nazionale-dei-trasporti-e-della-logistica-pgtl-volonta-esplicita-o-dimenticanza/).
Un chiarimento governativo, a questo punto, sembra più che mai opportuno per comprendere se (e come) si intenda far convivere aspirazioni autonomistiche e poteri di accentramento portuali.