La Cina è riuscita a costruire un network portuale disteso in oltre 50 Paesi
Bruxelles. La Cina con le società di shipping controlla il 10% del traffico marittimo attraverso i porti europei: fa parte con partecipazioni di maggioranza nel porto ellenico del Pireo e di minoranza a Salonicco; quote a Valencia e Bilbao in Spagna; quote negli scali di Rotterdam, Venlo, Amsterdam e Moerdijk nei Paesi Bassi; Vado Ligure e Trieste in Italia; Amburgo e Duisburg in Germania, Anversa e Zeebrugge in Belgio; Dunkerque, Le Havre e Fos in Francia; Marsaloxlokk a Malta; Stoccolma in Svezia e Gdynia in Polonia.
Il Parlamento europeo, con il suo ultimo studio, sottolinea i rischi non-economici di una forte presenza asiatica negli scali marittimi della Comunità europea. Lo studio evidenzia che l’aspetto economico – dovuto al sistema dei trasporti marittimi – sta generando problemi di difesa e di sicurezza nazionale.
Lo studio/documento “Chinese Investment in European Maritime Infrastructure”, promosso dalla Commissione Trasporti UE, consegnato al Parlamento europeo la settimana scorsa, evidenzia un giro d’affari nell’ultimo ventennio dalle aziende cinesi pari a oltre 9,1 miliardi di euro per acquisizioni negli scali marittimi europei. Secondo un rapporto della società di consulenza MacKinsey, gli investimenti cinesi in infrastrutture portuali e logistiche europee sono aumentati di oltre il 50% tra il 2021 e il 2022.
La presenza cinese nei porti dell’UE – si legge nello studio – è antica ed è dovuta soprattutto al mercato unico europeo che non impedisce a operatori stranieri di fare business in Europa; le società China Ocean Shipping Company (COSCO) e China Merchants sono quelle che più massicciamente hanno investito in Europa.
Tali investimenti lungo alcune delle principali rotte del mondo sono stati operati da società di proprietà del Governo cinese, rendendo di fatto Pechino e il Partito Comunista Cinese il più grande operatore portuale, al centro delle catene di approvvigionamento globali. Investimenti che potrebbero generare implicazioni militari significative: si parla di influenza sulla strategia portuale e di rischi informatici, in quanto le aziende cinesi possono accedere ai sistemi di comunicazione di vari porti e alle reti locali. “… potrebbe anche comportare rischi più ampi per l’Europa, soprattutto per quanto riguarda le forze armate degli Stati membri e la NATO”, si legge nel rapporto/studio.
I porti o i terminal di proprietà cinese sono già porti di scalo per le navi da guerra cinesi, come la flottiglia che è entrata nel porto nigeriano di Lagos lo scorso luglio. E’ presente nell’Oceano Indiano con sei /otto navi da guerra in dispiegamento permanente nella regione, con base in Cambogia e in Pakistan. Oggi, la Cina è già la principale potenza marittima commerciale del mondo, controllando anche i sistemi infrastrutturali presenti negli scali, come gru a terra e carri ponte, e producendo circa il 90% di container in circolazione.
Nel porto del Pireo, la situazione è più complessa, riferisce il documento: “… la presenza di COSCO accanto a infrastrutture civili e militari critiche è altamente problematica, in termini di rischi informatici e potenziali fughe di dati sensibili”. Un rischio considerato dagli autori dell’analisi realistico poiché “vi sono indicazioni che in futuro gli scali delle navi militari statunitensi saranno più frequenti”. Alla luce di questo “è ragionevole supporre che i servizi segreti cinesi siano interessati a raccogliere dati sulle tecnologie militari avanzate degli Stati Uniti”.
In Italia nel 2016 COSCO ha acquistato il 40 per cento del porto di Vado Ligure. L’operazione ha coinvolto anche la Qingdao Port International Development di Hong Kong, che ha acquistato un ulteriore 9,9 per cento del nuovo terminal container. La Cina pare che nutra interessi anche nei porti di Taranto e Palermo. Nel 2022, il Governo italiano ha approvato una nuova legge sugli investimenti esteri, che prevede un maggior controllo sugli investimenti cinesi in infrastrutture critiche.
L’idea di privatizzare i porti in Italia, parlata nei vari talk show politici, per una mera azione di dismissioni di beni demaniali (difficile da gestire per il bilancio dello Stato) è stata subito riproposta con grande interesse dagli operatori della logistica e dai decision maker del settore marittimo. Si parla di tale ‘idea’ per i vantaggi economici al fine attrarre investimenti e migliorare l’efficienza dei porti italiani, ma che viene da subito contrastata da quanti temono conseguenze negative per le Autorità portuali e l’indipendenza del settore, con perdita di sovranità e controllo.
Indipendenza compromessa per ragioni strategiche, in quanto la Cina vuole rafforzare la sua posizione di potenza economica e militare; e per ragioni politiche in quanto le aziende cinesi presenti nei vari porti, potrebbero esercitare pressione politica sull’Unione Europea.
Lo studio/documento invita l’UE, già in ritardo, a dotarsi di una nuova strategia per la difesa navale e la sicurezza marittima; un piano che includa la protezione delle infrastrutture marittime critiche, gasdotti, cavi sottomarini e anche porti.
Si rende dunque, affermano gli analisti, “un’azione approfondita del rischio dell’investimento di COSCO” attraverso “uno stretto coordinamento con i partner occidentali in termini di assistenza tecnica”. Allo stesso modo, “la creazione di un meccanismo di gestione delle crisi e la mitigazione di vari rischi potenziali sono possibili solo di concerto con i partner dell’UE e della NATO”.