VENEZIA – Verso la fine dello scorso anno il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5943 del 18 dicembre, è stato chiamato ad esprimersi circa la legittimità del trasporto pubblico locale nella laguna di Venezia. L’occasione è stata fornita da un progetto del 2014, con cui il Comune di Venezia aveva deliberato di affidare in house ad una società locale il complesso dei servizi urbani di trasporto locale e di assegnare, invece, mediante gara, i servizi di linea di navigazione minimi ed aggiuntivi (pari al 10% dei servizi oggetto di affidamento) tra il centro storico ed i terminal marittimi ed aeroportuali.
Il progetto venne successivamente deliberato dall’Ente di Governo del TPL (Trasporto Pubblico Locale) del Bacino di Venezia e, suscitando i malumori di un operatore locale attivo nel trasporto commerciale, finì per essere impugnato da quest’ultimo dinanzi al TAR Venezia. All’inizio del 2017 il Tribunale Amministrativo ha respinto il gravame e così le doglianze dell’operatore privato sono finite sul tavolo del Consiglio di Stato a Palazzo Spada.
Anche quest’ultimo ha ritenuto infondata l’impugnativa dell’operatore privato ma, ciononostante, ha inteso sfruttare tal circostanza al fine di chiarificare il regime normativo applicabile al trasporto pubblico locale. Occorre innanzitutto rimarcare come il TFUE (Trattato sul funzionamento dell’UE) preveda, in materia di trasporti, una “liberalizzazione limitata”. Tale previsione, del resto, appare coerente con la Direttiva 2006/123/CE (l’arcinota “Bolkestein”) la quale, specificatamente all’articolo 17, esclude dal proprio ambito di applicazione “i servizi di interesse economico generale nel settore dei trasporti”.
Anche nel Belpaese l’ordinamento giuridico si è mosso nel solco della Direttiva Bolkestein, recepita dal D.Lgs. n. 59/2010, sebbene il Legislatore, già con il Regolamento n. 1370 del 2007, avesse manifestato in linea di principio la propria disponibilità ad una estensione delle liberalizzazioni anche al settore dei trasporti.
Tra l’altro, negli scorsi anni, la giurisprudenza nostrana ha statuito come i servizi di trasporto non siano soggetti per intero al regime della concorrenza anche in base ad una norma generale quale l’articolo 106, paragrafo 2, del TFUE secondo cui “i servizi di interesse generale sono sottoposti alle regole della concorrenza nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento della specifica missione loro affidata”.
Come è noto nel nostro ordinamento la materia dei trasporti, ad eccezione di alcune ipotesi, compete alla competenza legislativa regionale esclusiva. Nel caso della Regione Veneto la legislazione in materia risiede nella Legge regionale n. 25 del 1998 la quale, specificatamente all’articolo 4, distingue tra servizi di trasporto “programmati” e servizi di trasporto, invece, “autorizzati”: i primi sono assegnati mediante procedura ad evidenza pubblica da parte dell’amministrazione pubblica a meno che quest’ultima “non preferisca gestirli direttamente o mediante il modello della società in house”; i secondi, invece, sono tutti quei servizi “esercitati da imprenditori privati in base ad una autorizzazione amministrativa”.
In sostanza il sistema di trasporto locale modellato dalla legislazione veneta prevede la convivenza sia di un trasporto pubblico, finanziato dall’amministrazione pubblica, che di un trasporto privato costituente un’attività d’impresa ed operante secondo le regole del mercato.
Orbene, nella vicenda in esame, le doglianze dell’operatore privato si basavano prettamente sulla presunta incompatibilità del sistema di trasporto veneziano rispetto all’articolo 12 del D.L. n. 223 del 2006 (Decreto Bersani sulle liberalizzazioni) secondo il quale “fermi restando i principi di universalità, accessibilità ed adeguatezza dei servizi pubblici di trasporto locale ed al fine di assicurare un assetto maggiormente concorrenziale delle connesse attività economiche, i comuni possono prevedere che il trasporto di linea di passeggeri accessibile al pubblico sia svolto anche dai soggetti in possesso dei necessari requisiti tecnico-professionali ecc.”.
Secondo l’interpretazione di Palazzo Spada quest’ultima norma è da intendersi nel senso che “i comuni hanno la facoltà (e non l’obbligo) di valutare, secondo il loro discrezionale apprezzamento, se liberalizzare, in tutto o in parte, il servizio di trasporto di che trattasi”. Nella vicenda in esame tale facoltà non è stata esercitata dal Comune di Venezia e, pertanto, gli operatori privati operanti nel trasporto commerciale non possono avanzare alcuna contestazione.
Stefano Carbonara