BRINDISI – Quello che, per lungo tempo, è stato un assillante refrain per ogni legislatura, molto presto potrebbe tramutarsi in realtà. Stiamo parlando delle c.d. ZES (Zone Economiche Speciali) che, specialmente nel Meridione, mai ripresosi del tutto dalla “amara” dipartita della Cassa per il Mezzogiorno, si candidano a trainare le aree portuali in panne e non.
Lo scorso 9 giugno, difatti, il Consiglio dei Ministri ha licenziato un decreto legge, rubricato come “disposizioni urgenti per la crescita del Mezzogiorno”, che si incarica di facilitare l’istituzione delle ZES nelle aree portuali nonché in quelle ad esse economicamente collegate. Si legge nel comunicato a mezzo stampa rilasciato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri come lo scopo sia “quello di sperimentare nuove forme di governo economico di aree concentrate, nelle quali le procedure amministrative e le procedure di accesso alle infrastrutture per le imprese, che operano o che si insedieranno all’interno delle aree, siano coordinate da un soggetto gestore in rappresentanza dell’Amministrazione centrale, della Regione interessata e della relativa Autorità portuale, al fine di consentire una progettualità integrata di sviluppo della ZES, con l’obiettivo di rilanciare la competitività dei porti delle regioni meridionali”.
Seppur in attesa della pubblicazione del decreto legge in Gazzetta Ufficiale, già paiono scorgersi i primi caratteri delle ZES, naturale evoluzione delle zone franche in ambito doganale, la cui attivazione spetterà al Governo su richiesta della regione interessata e previa l’allegazione di un convincente progetto di sviluppo.Le ZES saranno dotate di agevolazioni fiscali aggiuntive rispetto al regime ordinario del credito d’imposta al sud: in particolare, oltre agli investimenti delle PMI, saranno eleggibili per il credito d’imposta investimenti fino a 50 milioni di euro, di dimensioni sufficienti ad attrarre player internazionali di grandi dimensioni e di strategica importanza per il trasporto marittimo e la movimentazione delle merci nei porti del Mezzogiorno.
Le aree interessate dalle ZES, ricomprese tra le regioni dell’Obiettivo Convergenza (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia), dovranno godere di una particolare vocazione produttiva e di apertura ai mercati internazionali. Così come ha esplicitato lo stesso Ministro per la coesione territoriale ed il Mezzogiorno, Claudio De Vincenti, “Gioia Tauro potrebbe essere il primo territorio candidato ad ospitare una ZES” ma c’è spazio anche per tante altre aree portuali quali, ad esempio, Napoli, Salerno, Taranto (su quest’ultima, Matera, prossima capitale europea per la cultura 2019, pare abbia riposto le proprie ambizioni).
Al giorno d’oggi, si contano circa 4000 ZES in oltre 130 paesi del Mondo e, peraltro, risultano particolarmente concentrate ed apprezzate in Asia, nelle Americhe così come nelle regioni del Pacifico. Nel Vecchio Continente, ammontano a 97 le ZES esistenti (di cui ben 14 sono in Polonia) e sono ammesse dall’articolo 107, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea che concede deroga alla disciplina sugli aiuti di Stato ogni qualvolta un intervento risponda ad una delle seguenti finalità: sviluppo economico di un’area del c.d. obiettivo convergenza, promozione di un progetto di comune interesse europeo, sostegno all’economia nazionale turbata da “grave instabilità”, promozione della cultura e della conservazione del patrimonio, ecc.
In tutto ciò, l’Italia sembra esser essersi convinta dell’attrattività economica di un simile strumento, trascinata peraltro dalle varie risultanze dei rapporti SVIMEZ per il Mezzogiorno: dal solo 2013 ad oggi, ad esempio, sono state depositate in Parlamento ben 13 proposte di leggi istitutive di ZES in svariate aree del paese, da nord a sud, senza essere, nostro malgrado, addivenute a nulla di concreto. Ebbene, il recente decreto legge per il Mezzogiorno potrebbe preludere l’arrivo della tanto sospirata bonaccia per molte aree portuali del Mezzogiorno, che stiano in campana.
Stefano Carbonara