BRINDISI – I Sindaci delle città portuali della nostra penisola hanno intrapreso una battaglia difficile con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti in merito alla tanta auspicata riforma della portualità italiana. Ancona, Ravenna, Genova, Savona, Livorno, La Spezia, Napoli, Salerno, Gioia Tauro, Reggio Calabria, Messina, Catania, si stanno rincorrendo con comunicati stampa “urlando” le proprie ragioni.
Un’attenzione particolare merita la Puglia, con i Sindaci di Bari e di Brindisi impegnati a ricomporre l’obiettivo di una riforma Delrio, quella delle autorità di sistema, che rischia di compromettere tutto, e che prevede il solo declassamento di Brindisi a “direzione di scalo”.
E pensare che la Puglia è stata la prima a sponsorizzare la riforma! I vari Sindaci, molti “renziani doc”, con i più attivi quelli di Savona e di Salerno, a nome delle rispettive comunità, stanno ribadendo una ferma opposizione all’ipotesi di accorpamento dei porti in autorità di sistema, in quanto l’accorpamento (o il più indolore termine di fusione), non risolve i veri problemi della portualità italiana e non costituisce un sistema integrato di portualità e logistica.
E’ noto che l’Italia ha bisogno di sviluppare una rete di infrastrutture portuali per agevolare il sistema del trasporto con intermodalità e logistica integrata; porti vicini territorialmente alle aree di produzione industriale, poiché il costo maggiore del trasporto è rappresentato dal trasferimento delle merci, sulla tratta terrestre, tra l’industria e lo scalo marittimo.
E poiché le merci non seguono le volontà di una “governance” di una autorità di sistema e le compagnie di navigazione (oggi alleanze) non scalano i porti per volontà del presidente di turno di una autorità; e poiché i porti del nord Italia possono essere “porta dell’Europa” e i porti del sud Italia vere e proprie “porta d’oriente” nel Mediterraneo, ed allora perché non lasciare autonomi i porti che hanno dimostrato di essere tali con statistiche dei traffici vere e non sulla carta?
I compiti di un sindaco di una città dovrebbero essere quelli di discutere dei problemi relativi all’urbanistica, garantire la salute dei cittadini, gestire i rifiuti, assicurare la mobilità ai cittadini tramite un efficiente sistema di trasporto pubblico locale, discutere di Piano regolatore portuale, tutelare il territorio. Quando i Sindaci delle città portuali insorgono, come sta accadendo oggi sui problemi di porto, per ora solo sulla stampa e sui media, e molto sui social network, vuol dire che non si sentono tutelati da un’autorità portuale “commissariata”, giustamente per non creare dissensi.
Si competono una loro “autorità portuale” che, con autonomia e gestione “provinciale” e non metropolitana per territorio, possano adeguatamente realizzare una governance del tipo “land – lord” che non discenda automaticamente dall’alto; visto il fallimento delle Autorità portuali nel gestire il territorio e non capaci di coinvolgere i soggetti pubblici e privati, senza una seria promozione del porto, dei terminalisti e dei vettori. Si tratta di un problema di competenza, di una questione anche geografico – territoriale, cioè poter andare oltre il perimetro di una città di mare; ma soprattutto è anche questione funzionale, cioè tale da poter realizzare degli accordi, degli investimenti, delle alleanze, delle strategie.