GENOVA – Va in scena l’alleanza fra le compagnie portuali di Genova, Savona e Ravenna sul tema del lavoro che ancora non è disciplinato nella nuova bozza di riforma della portualità. Insieme hanno messo a punto una proposta da presentare a Ivano Russo, consulente del ministero dei Trasporti che si occupa proprio della riforma portuale, arrivato oggi a Genova per partecipare alla convention di Intempo, l’agenzia nazionale del lavoro interinale che riunisce in conclave a palazzo Ducale tutte le compagnie e per incontrare anche il commissario dell’Autorità portuale cittadina, Giovanni Pettorino.
“Presentiamo insieme un documento per dire che i porti ‘core’ chiedono attenzione per il lavoro temporaneo”, spiega il console della Culmv Antonio Benvenuti a margine del convegno. L’idea è mantenere il quadro generale di regole esistente, ma dando spazio alle specificità dei principali scali italiani, anche in termini di organizzazione del lavoro.
Il modello presentato da Genova (con Culmv e Pietro Chiesa), Savona e Ravenna, che insieme rappresentano circa il 70% dell’organico degli articoli 17 dei porti italiani, cioè gli unici soggetti autorizzati a fornire manodopera temporanea ai terminal, prevede che in questi tre scali le autorità o i sistemi portuali possano ampliare le funzioni e le responsabilità delle compagnie che in cambio avrebbero sostanzialmente uno zoccolo duro di giornate di lavoro definite all’inizio di ogni anno e più facilità a far quadrare i conti.
Si tratta di allargare i confini di un articolo 17 diventato troppo stretto. “Come Culmv chiuderemo il 2015 con 185 mila giornate lavorate, cioè 5-6000 in più rispetto al 2014. Di queste, tredicimila sono costanti ogni mese, vuol dire che siamo un soggetto strutturale nel porto, non copriamo solo i picchi di lavoro”, spiega Benvenuti, mentre di fatto l’articolo 17 ‘puro’ copre solo quelli.
La proposta vorrebbe che, caso per caso, tenendo conto dei volumi di traffico, della collocazione degli scali sulle reti logistiche e le prospettiva di traffico, il lavoro svolto dalle compagnie portuali fosse considerato come servizio di interesse generale, ma la questione è ancora tutta da discutere e si gioca sulle parole. Sull’interesse generale, infatti, il ministero dei Trasporti aveva già espresso le sue perplessità, ritenendo che non sia compatibile con le normativa comunitarie.