ROMA – Prima il “job act” che non produce lavoro, poi la “buona scuola”, virtuale, innovata in edifici vecchi e pericolanti e senza laboratori, ma con presidi “sindaco”; ora la “buona portualità” realizzabile solo con otto distretti logistici – “autorità di sistema portuale” – e la creazione dei distretti periferici – “direzioni portuali” – senza portuali.
Questa è l’ultima bozza del “Piano nazionale della Portualità e della Logistica”, datata maggio 2015, come è stato già riportato in altro articolo, e già si preannuncia una dura battaglia tra esponenti del PD, partito del premier, la CGIL e CISL trasporti, CNA, operatori portuali e compagnie portuali, tutti contro il Governo Renzi e contro il Ministro Delrio autore di un’accelerazione impressa ad una bozza tutta basata su analisi di mercato della domanda/offerta di portualità discutibili e di parte, alla faccia dello sbandierato “campanilismo”.
Si contesta, in casa PD, che i vari accorpamenti delle sedi di AP e la definizione dei distretti logistici non abbiano un fondamento strategico e sono sostenuti da scarsi contenuti economico/marittimi; se l’obiettivo era quello di rendere più competitivi i porti italiani la strada del “non dialogo” fra enti (comuni e regioni e sindacati) è stata proprio quella sbagliata.
Non sono ancora chiari funzioni e rapporti che dovrebbero tenere le diverse strutture fra di loro (autorità di sistema e distretti periferici), quali compiti demandati e quale organizzazione interna; tutto da ridefinire o definire il ruolo degli Enti locali e, in particolare, di Comune e Regione che sembrerebbe vengano esautorati di tutti i compiti di programmazione e di gestione del territorio di loro competenza; ancora non si evince chiaramente dalla bozza il delicato rapporto con le Autorità marittime e senza trascurare l’impatto negativo che si avrebbe sul lavoro portuale ed i servizi tecnico-nautici, sui quali si tace e non si riscontrano attenzioni.
Ancora una volta, il Governo Renzi non apre al confronto ed alla discussione, anche parlamentare, oltre che con le parti sociali e sta seguendo la via del decreto/legge su argomenti delicati e strategici come la portualità che non toccano solo aspetti economici, ma anche la vita ed il lavoro di migliaia di persone legate al mondo dei porti. Se si considera il caso pugliese si nota chiaramente la contraddizione economico/marittima per favorire solo la scelta politica di un altro PD.
Infatti, il distretto logistico comprende i porti di Bari, Brindisi, Manfredonia e Taranto, dove si propone forse Bari come sede dell’Autorità di Sistema Portuale; con quale criterio si sceglie una sede di AdSP? Il porto di Brindisi è l’unico di tale distretto in forte crescita dei dati di flussi merceologici; poi è il porto polivalente per natura orografica e come hub di grandi masse energetiche è una realtà rilevante a livello nazionale ed europeo; in questi ultimi anni i dati lo confermano come hub di ro-ro e ro-pax oltre a gateway europeo delle Autostrade del Mare.
Taranto sicuramente è hub container e ben rispondente anche agli obiettivi europei di “corridoio”; Bari hub crocieristico e con una posizione logistica rafforzata dalla presenza dell’interporto regionale; rimangono ancora da definire gli obiettivi per Manfredonia. Per Assoporti il piano della logistica e dei porti è da promuovere; ma occorre precisare, come afferma il Presidente Pasqualino Monti: “ È necessario comprendere appieno quali funzioni dovranno svolgere le Autorità di sistema portuali che non potranno essere enti di promozione territoriale, ma dovranno svolgere prioritariamente la funzione di enti di regolazione del mercato portuale nonché di soggetti unici di regia e di coordinamento delle funzioni sia nell’ambito strettamente portuale sia lungo il corridoio logistico”.
Quindi, anche se la bozza del Ministro Delrio sarà strutturata su modello europeo (corridoi logistici e governance che guarda al mercato), rimane che il confronto sul sistema della portualità italiana debba avere come finalità un disegno organico e non frammentario; e la discussione sull’organizzazione della portualità deve partire dalla definizione degli obiettivi della portualità italiana e di ogni singolo scalo e non viceversa.
Forse è giunto il momento che ogni singola città-porto si doti di un “assessorato al territorio marittimo”(con respiro nazionale/europeo) che possa garantire le specificità dei traffici caratterizzanti lo scalo, partecipando alle definizioni delle modalità di trasporto al fine di salvaguardare le decisioni dei territori e delle comunità del mare.
Abele Carruezzo