Dal presidente del Propeller Club of Brindisi, Nicola Zizzi, giunge una risposta nel dibattito avviato da Mario Sommariva, segretario generale dell’Autorità portuale del Levante. La riportiamo di seguito in maniera integrale.
L’occasione degli stimoli forniti da Mario SOMMARIVA, con il suo recente intervento sulle tematiche della portualità, appare oltremodo utile e tempestiva, in quanto, in particolare qui a Brindisi, consente di allargare l’obbiettivo, ultimamente fin troppo puntato sulle polemiche contingenti del funzionamento della nostra Autorità Portuale, con le questioni dell’approvazione del conto consuntivo 2012 e della nomina del nuovo segretario generale.
E non si può certo negare la estrema necessità di un tale approccio quando si parla di porti, per la possibilità che si possano coagulare idee, proposte, strategie che vadano oltre la sterilità dell’attuale momento.
Dunque, le questioni poste da Sommariva alla nostra riflessione, nel possedere detti meriti, è giusto che non restino circoscritte, ma sollecitano una valutazione ed un approfondimento, per arricchire e qualificare un dibattito, che certo è molto più interessante della rincorsa ad ogni costo dello spunto polemico.
Quanto ai contenuti, va detto che gli scenari e l’analisi rappresentati dal segretario generale dell’Authority barese costituiscono una base di conoscenza oggettivamente conosciuta e condivisa nel mondo della portualità, e nell’ambiente accademico ad esso vicino, e sono correntemente diffusi ed utilizzati nei convegni e nelle pubblicazioni di settore.
Ciò non ne intacca la validità, ma rende necessario, a mio parere, un ulteriore sforzo di attualizzazione dei dati e degli scenari, di valutazione del loro impatto sul nostro domani, di individuazione e proposizione di una strategia che possa essere utile per affrontare le scelte di nostra competenza e, perché no, per cercare un ruolo e una collocazione in tale contesto a vantaggio del porto di Brindisi.
Scenari internazionali: mi piace rubare a Sommariva la sua considerazione finale, secondo cui questa crisi, se e quando passerà, lascerà un mondo diverso dall’attuale. Tra i fattori geopolitici che determineranno ciò, riterrei importante però inserire una ulteriore circostanza, che potrebbe dimostrasi ancora più sconvolgente e più foriera di stravolgimenti.
All’inizio della sua prima presidenza, neanche Barak Obama poteva immaginare che nel giro di pochissimi anni gli Stati Uniti sarebbero tornati ad essere autosufficienti dal punto di vista energetico, grazie allo sfruttamento economico delle proprie immense riserve di “shale gas”, il metano non convenzionale estratto dagli scisti di roccia. Le tecniche di estrazione messe a punto dall’Università del Connecticut hanno aperto la strada all’utilizzo di un gas che, per rendere chiara la portata della cosa, costa 3 dollari per m.u.t. (milione di unità termali), contro i 16-17 del metano “convenzionale” nel mercato europeo, e che ha riserve stimate per i prossimi 250 anni. Già nel 2012 gli Usa hanno conquistato una autonomia energetica pari all’84% del proprio fabbisogno e nel 2015 diverranno del tutto autosufficienti. Da tale anno in poi, gli Usa diverranno paese esportatore di gas metano liquefatto.
Cosa significa questo? Che presto non ci saranno più navi che trasportano idrocarburi, carbone e gas verso gli Usa. Ma anche che gli interessi politici, economici e militari della diplomazia statunitense per le sorti del Medio Oriente e per gli altri paesi produttori di idrocarburi verranno meno, con conseguenze per ora non immaginabili sulla stabilità di quelle aree. Inoltre, anche grazie al fenomeno descritto, negli ultimi 3-4 anni, la ripresa economica statunitense è corroborata da una sensibile tendenza alla ricollocazione in territorio americano di insediamenti produttivi che in precedenza erano stati spostati in Asia o in Europa: industrie chimiche (la Dow Chemical sta chiudendo i propri impianti in Belgio, Olanda, Regno Unito e Giappone per investire in Texas, nella produzione di propilene; la Shell ha rinunziato ai propri programmi europei, e sta realizzando a Pittsburg un nuovo grosso impianto per la produzione di etano; la Basf, colosso tedesco della chimica fine, ha pubblicamente ammesso che è impossibile competere in questo settore con i costi americani, e, nella presentazione dell’ultimo bilancio ha dichiarato la propria volontà di rivedere i propri programmi di investimento), industrie manifatturiere, specie quelle ad elevato assorbimento di energia, come per l’alluminio, ma anche industrie meccaniche ed automobilistiche (Mercedes Benz, Volkswagen-Audi, Bmw hanno già loro impianti i cui modelli sono importati anche in Europa).
Presto questa opportunità potrà essere colta dagli altri paesi nel cui sottosuolo sono state individuate ingenti riserve di shale gas (Cina, Russia, Argentina, Messico, Australia, Polonia), con ulteriori ripercussioni sugli equilibri economici mondiali.
Questo scenario, rapportato alle prospettive per lo shipping e per la portualità, non potrà non avere pesanti ripercussioni, considerando che la nostra vecchia Europa si avvia sempre più ad essere mercato di consumo e sempre meno di produzione.
Il dato positivo di questo scenario è che, al netto delle frequenti tensioni e dei focolai di guerra dell’area mediorientale, i prezzi degli idrocarburi dovrebbero mantenersi stabili per qualche tempo (il petrolio intorno ai 95 dollari al barile e stabile anche il gas convenzionale, il cui prezzo però, nel caso di paesi come l’Italia, che sono dipendenti dai metanodotti, è fissato con contratti ventennali; in calo il prezzo del carbone, per la minore richiesta globale).
Simili variabili macro-economiche, dunque, delle quali l’opinione pubblica non è del tutto ancora cosciente, determineranno un ulteriore riposizionamento che reclama una visione chiara ed una strategia di scelte alle quali non potrà sottrarsi nessuno, a nessun livello.
L’inserimento dei ragionamenti appena fatti nella panoramica indicata da Sommariva consente di azzardare alcune conclusioni che devono scalare dal livello globale, e via via a quelli più locali.
Eccesso di stiva: l’attuale eccesso di stiva del traffico container è destinato ad essere riassorbito nell’arco di 5-6 anni, soprattutto per l’incremento nei traffici nord-sud e viceversa, ma è anche pensabile che l’aumento della domanda interna delle tigri asiatiche possa determinare interscambi sostanziosi con l’occidente: si pensi ai 200 milioni di cinesi appartenenti alla nuova classe agiata e alle altre nazioni la cui economia si sta evolvendo dallo stato attuale di meri territori di produzione a basso costo.
Tendenza alla concentrazione dell’offerta: è comprensibile che in tempo di crisi e in presenza di un calo così sensibile e prolungato dei consumi, gli attori economici sulla scena cerchino di sopravvivere in primo luogo riducendo i costi: in questa direzione armatori e terminalisti si sono attrezzati con fenomeni di concentrazione che possono allarmare qualcuno, ma che sono sicuramente necessari per fare fronte ai minori ricavi. Simili fenomeni non sono di per se censurabili se si svolgono nel rispetto delle leggi e delle convenzioni internazionali che tutelano la concorrenza e il mercato e se si dispone di efficienti autorità di vigilanza per farne imporre il rispetto. Che poi questi riassetti comportino comunque pregiudizi per qualche paese o qualche azienda più “deboli” di altri è questione sicuramente dolorosa ma che va accettata con realismo.
E’ ad esempio il caso dei porti di transhipment, che specie nel mediterraneo saranno sottoposti ad una “selezione della specie” dettata dai non paragonabili costi dei nuovi scali appena sorti sulla sponda nordafricana.
Prezzo del bunker:la riduzione della velocità di navigazione si è rilevata un rimedio utile nell’immediato, per affrontare a bocce ferme l’aumento dei costi del carburante, ma la ricetta risolutiva sarà a portata solo degli armatori che potranno permettersi gli interventi di modifica degli apparati propulsivi delle proprie navi, al fine di attuarne il “refitting ” ed alimentarle anche a metano. Si tratta di interventi già in corso, che incontrano particolari difficoltà tecniche soprattutto nella realizzazione dei serbatoi ad alta pressione per la tenuta di metano allo stato liquido. Parecchi programmi di costruzione di nuove navi prevedono l’alimentazione dual fuel e i cantieri anche italiani sono pronti per questa sfida: la Wartsila di Trieste ha già messo sul mercato la tecnologia produttiva e Fincantieri ha già in portafoglio commesse per la costruzione di traghetti per conto di armatori canadesi e nordeuropei.
Purtroppo la alimentazione dual fuel è impiegabile solo laddove vi siano porti in grado di rifornire queste navi, vale a dire in grado di erogare metano allo stato liquido (GNL), porti oggi diffusi nel Baltico, nel Mare del Nord e in Canada ed Usa.
Ecco una sfida di crescita da cogliere per tempo: in Italia abbiamo la tecnologia, abbiamo le aziende che sono in grado di produrre con questa tecnologia, e quindi perché non programmare stazioni di rifornimento di GNL nei nostri porti, che potrebbero renderli competitivi ed attrattivi?
Le sfide da cogliere: il mondo ai tempi della globalizzazione è indubbiamente un posto piccolo, nel quale vi è interdipendenza fra i grandi accadimenti e le scelte locali. Per tale ragione quello appena tracciato, insieme all’apprezzato sforzo ricostruttivo compiuto da Mario Sommariva, non devono essere fatti passare come degli esercizi astratti o, peggio, come dei virtuosismi fini a se stessi, ma devono essere condivisi, letti e colti, per poter dare risposte alla necessità che c’è, ai grandi come ai piccoli livelli, di programmare le mosse per il futuro: governi, aziende, privati devono darsi una strategia per adattarsi agli scenari che si profilano, e per fare questo è necessario conoscere questi scenari.
A livello di governi serve una attività di “facilitazione” delle procedure, nelle direzioni egregiamente proposte da chi mi ha preceduto: semplificazione ed aggiornamento dei servizi tecnico-nautici e di quelli portuali, ridefinizione del profilo delle autorità portuali e delle competenze di queste ultime, rivedendo e razionalizzando il ruolo delle autorità marittime, di quelle doganali e di frontiera. Ma serve anche una coraggiosa selezione dei finanziamenti disponibili per le infrastrutture, al fine di non duplicarne di inutili e di non penalizzare porti che, pur avendone le potenzialità, non hanno la forza politica per valorizzarsi. I capitali privati devono rimanere tali e devono poter essere agevolati nei programmi di investimento che siano compatibili con i piani regolatori portuali programmati dal territorio.
In questo momento, sarebbe oltremodo essenziale che il Ministro per le Infrastrutture distribuisca ai suoi sottosegretari le deleghe operative, per consentire al cluster marittimo e portuale di avere un preciso riferimento governativo. Non si capisce perché i soliti giochi politici debbano continuare ad andare a scapito della efficienza e dell’interesse collettivo.
Un ruolo per il porto di Brindisi: tutti coloro che in questi anni hanno seguito le vicende del porto di Brindisi devono prendere atto che non è più il tempo di fare proclami altisonanti, come forse sarebbe stato concesso in passato, quando ancora i vantaggi competitivi frattanto conquistati dagli altri porti anche grazie alla nostra inerzia erano di la a venire. Oggi si può e si deve programmare una integrazione sociale, economica e politica con il territorio di riferimento, perché è questo territorio, individuabile come il Salento, con le sue aziende, con i suoi mercati di consumo, con le proprie attrattive turistiche, che può alimentare traffici di persone e di cose attraverso il porto di Brindisi: legarsi a questo territorio e servirlo con una integrazione logistica si deve tradurre in possibilità di essere un buon terminale di feederaggio da 3-400.000 TEU, un approdo crocieristico da 300.000 crocieristi attratti dalla visita del Salento e della Valle d’Itria, un ponte intermodale con Grecia, Albania e la direttrice adriatico-jonica per il traffico ro-ro e per i passeggeri. Per fare questo la infrastrutturazione primaria del porto di Brindisi è già oggi adeguata, e con il nuovo Piano Regolatore il porto si deve dotare di quel completamento e di quella razionalizzazione funzionale in nome della polifunzionalità che è stata abbozzata dal creatore, ed assecondata dal precedente piano del 1975.
E poi efficienza, trasparenza, capacità di portare a termine le opere programmate e di farle funzionare, dialogo e collaborazione con le altre istituzioni, con i privati e con gli altri porti pugliesi. Nei confronti di questi ultimi, la necessità e l’utilità della collaborazione e dell’integrazione, però, non devono necessariamente considerare scontati e intoccabili i vantaggi competitivi acquisiti negli ultimi anni a scapito del porto di Brindisi, altrimenti tanto varrebbe dire: a Bari restano i passeggeri e le crociere, a Taranto i containers e le merci, a Brindisi il carbone. Fondare una intesa tra i tre porti su simili basi significherebbe violentare le aspettative e le potenzialità di un territorio che i nostri amministratori non devono e non possono permettere.
IL PRESIDENTE
dott. Nicola ZIZZI