Sergio Prete, presidente dell’Autorità portuale di Taranto da qualche giorno, ha le idee chiare. Il transhipment, cioè il trasferimento di container dalle grandi navi madri su battelli di dimensioni minori definiti navi feeder, è “un metodo parziale di sviluppo del porto”; il Distripark, la struttura di logistica retrostante il porto, è “lo strumento idoneo a modificare il futuro del territorio in grado di attrarre nuovi vettori commerciali”.
Per tutti e due occorre, in ogni caso, la valorizzazione dello scalo ionico attraverso un’azione di marketing. Conferma la vocazione industriale e commerciale del porto, guarda anche all’eventuale allargamento al ramo crociere e alla nautica da diporto ma “qui occorre disegnare un percorso comune con altri enti. Perché una nave passeggeri deve fare tappa a Taranto. Cosa trova?”
Ecco il “credo” di Prete. Nominato dopo tre anni di commissariamento, si trova di fronte a una serie di pratiche che deve riaprire e portare avanti. Innanzi tutto le opere infrastrutturali, in parte già finanziate, indispensabili per adeguare lo scalo tarantino alle esigenze dei nuovi traffici.
Servono i dragaggi per portare i fondali a 16.50 metri in grado di accogliere le moderne portacontainer di ultima generazione, il conseguente adeguamento delle banchina e la diga foranea. Un porto,però, si sviluppa se viene individuato dai grandi vettori e dalle industrie come hub dal quale smistare merci e prodotti per tutti i mercati.
Di qui l’esigenza di realizzare il Distripark, cioè l’area retro portuale destinata all’accoglienza delle merci, alla loro manipolazione e alla spedizione. Per accrescere i volumi di traffico e per aumentare il numero di compagnie commerciali, il porto ionico deve migliorare le infrastrutture e deve sapersi “vendere” sui mercati internazionali.
“Taranto – ha detto ieri mattina Prete – deve sviluppare la propria vocazione di piattaforma logistica mediterranea e il suo porto deve guardare all’area europea. Abbiamo avviato contatti con la Cina e con Rotterdam, inteso non come scalo concorrente ma come eventuale partner per acquisire eventuali know how.
Vanno migliorati lo sviluppo e la formazione della cultura portuale e marittima, risultato che avrà come conseguenza la crescita dell’imprenditorialità di settore”. Sostiene anche che l’Authority può “solo agevolare l’aumento dei traffici, ma non può direttamente né svilupparli né ridurli”.
E’ vero. Per favorirli deve creare le condizioni per rendere lo scalo più attrattivo, più funzionale, più conveniente. Ora gli ostacoli più seri a rendere centrale e importante il porto tarantino lungo le rotte nord-sud ed est-ovest sono due. Da una parte appunto l’inesistenza di aree retro portuali attrezzate e dall’altra l’inadeguatezza delle infrastrutture da risolvere con i dragaggi, l’ampliamento delle banchine e la diga foranea.
“Sarà nostra cura – ha sottolineato Prete – fare pressing per riavviare le procedure delle opere infrastrutturali destinate a Taranto e già finanziate. Vedremo quali sono i nodi che le bloccano. Non sarei contrario neanche a una parziale privatizzazione del Distripark”.
Cesare Bechis